
E se troppo sport facesse male al cervello?
Questo articolo scritto dalla Dr.ssa Nicla Pancera, da l’opportunità di portare a conoscenza del pubblico dei rischi che possono correre i giocatori quando nel corso della loro vita sportiva, ricevono dei colpi del pallone alla testa e questi si ripercuotono nell’età avanzata.
Muoversi riduce l’ansia e lo stress, si sa.
Meno noto che “alimenti” letteralmente l’encefalo e lo mantenga efficiente.
L’allenamento stimola infatti la neurogenesi, ovvero proliferazione e crescita dei neuroni
L’allenamento fisico è una “spintarella” ai neuroni.
Ma le discipline pesanti e i traumi cerebrali che ne possono derivare non incentivano una lunga vita in salute.
Meglio educare: i giovani a percepire il rischio, i senior a spronare il corpo.
Dai muscoli, una spintarella ai neuroni.
Tradotto in parole più chiare: lunga vita al nostro cervello se noi sproniamo il corpo.
Perché muoversi riduce l’ansia e lo stress, certamente, ma anche “alimenta” letteralmente l’encefalo e lo mantiene in salute. Il che significa maggiore vascolarizzazione, densità sinaptica e connettività.
“Oggi sappiamo che l’allenamento fisico stimola la neurogenesi, quindi la proliferazione e la crescita dei neuroni”, spiega Michela Matteoli, docente di farmacologia all’Humanitas University (Rozzano, Milano), nonché direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e responsabile scientifica del Neuro Center di Humanitas.
L’effetto positivo dello sport sul nostro cervello è “mediato dal fattore neurotrofico Bdnf”, spiega ancora la neuro scienziata. “Che è un polipeptide presente nel cervello dei mammiferi, la cui produzione, aumentata dall’attività fisica, ha ricadute positive sulla plasticità cerebrale e sulla cosiddetta riserva cognitiva”.
Un concetto difficilmente definibile, quest’ultimo, da intendersi comunque come una sorta di scudo protettivo, che è in grado di fronteggiare e ritardare la comparsa delle malattie neuro degenerative.
Una disciplina sportiva pesante e una pratica protratta a tutti i costi (dati i traumi che ne possono derivare), lungi dall’incentivare una buona longevità e una salute cerebrale che duri negli anni, possono fare del male. “ Nel dubbio, abbandonare il campo”.
Questa dovrebbe essere infatti la regola per chi pratica sport d’impatto, come calcio, rugby, football o pugilato. Infatti, nelle ore immediatamente successive a un trauma cranico anche lieve, bisogna fare tutto il possibile per evitarne un secondo. Dopo aver preso un colpo, infatti, è come se il cervello, impegnato a sistemare i danni dell’impatto, diventasse più vulnerabile.
Del resto, non tutti sanno che il rischio di ictus è l’86% maggiore in chi ha avuto un trauma cranico, secondo una recente metanalisi apparsa sull’International Journal of Stroke. Inoltre, il trauma cranico è una delle principali cause di disabilità e il maggiore fattore di rischio ambientale per la demenza: infatti, è associato al 5-10% dei casi di deterioramento cognitivo progressivo.
Un nuovo studio, il primo per ampiezza riguardante i calciatori, è apparso sul New England Journal of Medicine e mostra che rispetto alla popolazione generale i giocatori professionisti hanno un rischio più che triplicato di sviluppare una malattia neurodegenerativa: 5 volte di più per l’Alzheimer, circa 4 per la SLA, 2 per il Parkinson.
L’analisi di oltre 8mila ex calciatori professionisti scozzesi (che, secondo le stime, colpiscono la palla di testa dalle 6 alle 12 volte a partita) e 23mila soggetti di controllo viene da un team di ricercatori guidati da William Stewart, responsabile del Neuropathology Research Lab dell’Università di Glasgow, famoso per i suoi lavori sui giocatori di rugby. Va detto che “questo effetto si nota negli over 70, mentre nella fascia d’età inferiore la mortalità nei calciatori professionisti è più bassa della media.
Si notano i benefici di una regolare attività fisica nei termini di una maggiore salute e una minor incidenza di malattie cardiologiche e di tumori” dice Elisa Zanier, responsabile del Laboratorio Danno Cerebrale Acuto e Strategie Terapeutiche dell’Istituto Mario Negri di Milano, che da anni collabora con William Stewart per scoprire che cosa inneschi la trasformazione di un danno meccanico acuto (il trauma) in un processo cronico di progressiva neurodegenerazione cerebrale.
Già. Che cosa determina quelle reazioni a catena che da un singolo trauma cranico grave finiscono per predisporci alle demenze?
“Analizzando il cervello di individui deceduti anni dopo un trauma cranico grave abbiamo notato che si formavano depositi diffusi della forma alterata della proteina tau, tipica della malattia di Alzheimer.
Tale proteina anomala si forma nella zona attigua al trauma ma, negli anni, si diffonde alle altre aree del cervello, inducendo perdita di memoria e danni alle cellule nervose”, spiega Zanier, che oggi lavora proprio allo sviluppo di nuove terapie per riparare il tessuto cerebrale.
“La neurodegenerazione coinvolge circa un terzo dei pazienti con trauma cranico grave. Capire quali sono le caratteristiche che rendono un soggetto più vulnerabile è fondamentale per adottare misure opportune di protezione o prevenzione. Spetta al medico a bordo campo, di fronte a un sospetto trauma, valutare attentamente quando sarà possibile far rientrare il giocatore senza rischi”, continua Elsa Zanier.
Lo studio è stato finanziato dalla Football Association FA e dalla Professional Footballer’s Association.
La FA non ritiene comunque, alla luce dei risultati, di vietare il calcio aereo almeno fino alla maggiore età, come invece ha suggerito il neuropatologo Bennet Omalu, l’autore dei lavori sugli sportivi che lo hanno portato alla scoperta dell’encefalopatia traumatica cronica, nota anche come demenza pugilistica, che si presenta proprio con l’accumulo di tau.
Abbracciando il principio di precauzione, Omalu ritiene sciocco mettere dei professionisti a rischio semplicemente per l’eccitazione transitoria di un gioco: “ Che cosa è più importante, il valore della vita o dello sport?”.
Intanto è arrivata la decisione della Scottish Football Federation (SFA) di ufficializzare il divieto a colpire il pallone di testa negli allenamenti under 12.
E si è riaccesa la discussione sul senso di porre un limite netto: forse che a 13 anni si è al riparo?
L’International Football Assocition Board (IFAB), l’organismo che stabilisce le regole del calcio a livello mondiale, ha comunque aggiornato il regolamento sulle sostituzioni in caso di trauma cranico, escludendo dal gioco il calciatore per l’intera partita.
Inoltre, la FIFA (la federazione internazionale che governa gli sport del calcio a 5 e del beach soccer) ha introdotto nella Coppa del Mondo 2022, che si terra in Qatar, degli osservatori che si affiancheranno ai medici a bordo campo proprio per individuare prontamente le concussioni cerebrali-
Se quella che viene chiamata “epidemia silenziosa” sta iniziando ad avere una certa eco nel mondo dei professionisti, la speranza è che la maggior consapevolezza si diffonda presto anche nelle scuole. Le quali dovrebbero avere un ruolo di prim’ordine nell’educare al rischio di tutelare i giovani, mentre invece, spesso, incentivano a certi sport di contatto.