
Depressione serve la diagnosi
Covid ha aumentato l’incidenza della malattia. Colpa la solitudine e isolamento. Eppure, molte persone la sottovalutano, attribuiscono i sintomi ad altre patologie. E non cercano aiuto dal medico. Ma bisogna curarla.
La chiamano ‘’L’epidemia silenziosa’’. E in effetti, sebbene sia ormai riconosciuta dall’Oms come la principale causa di disabilità a livello globale, chi soffre di depressione non ne parla, spesso non si cura, né cerca una diagnosi. Ne soffrono 264 milioni di persone nel mondo, 3 milioni e mezzo in Italia, pari quasi al 6% della popolazione. Una percentuale in crescita costante anche prima della pandemia e che, con la solitudine e l’incertezza portato da Covid-19 nelle nostre vite, è purtroppo in rapido aumento un po’ ovunque: si è visto, ad esempio, che tra le donne incinte l’epidemia ha esacerbato il rischio di sviluppare sintomi depressivi, passati oggi – come rivela un recente studio su Psychiatry Review – da un’incidenza del 15-20% del periodo pre-pandemico, a un ben più pronunciato 36%.
Di fronte a numeri del genere, l’attenzione sarebbe d’obbligo. Eppure ancora troppo spesso chi soffre di depressione stenta a ricevere per tempo l’aiuto di cui avrebbe bisogno. “Noi medici di famiglia siamo i primi a intercettare questi pazienti, e spesso arriviamo comunque tardi”, ci spiega Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie. Che aggiunge: “I motivi sono tanti, ma principalmente il problema nasce dalla difficoltà che hanno i pazienti, e i loro cari, ad accettare un disturbo psichico: persino comunicare la diagnosi è complicato, perché nel 90% dei casi l’assistito non ammette di soffrire di depressione, e preferirebbe mille volte avere un malanno di natura puramente organica”.
Per il medico di famiglia, in effetti, inizia quasi sempre tutto da sintomatologie varie: stanchezza, tachicardia, insonnia, mancanza di fiato, ma anche diarrea o stitichezza. Disturbi che i pazienti vorrebbero attribuire a tutt’altro, ma che possono caratterizzare quella che è, a tutti gli effetti, una patologia con sintomi fisici e mentali: la depressione. Quando suona il campanello d’allarme, il medico deve quindi completare il puzzle cercando gli indizi psicologici del problema: anedonia, cioè incapacità di trarre piacere da attività normalmente gratificante; tristezza di intensità e durata patologiche; sensi di colpa; riduzione dell’ energia; perdita della voglia di vivere; difficoltà a concentrarsi e pensare con mente lucida. A quel punto, non resta che convincere il paziente (e i suoi familiari) che un disturbo psichico non è qualcosa di cui vergognarsi, e soprattutto, che oggi per la depressione esistono terapie efficaci, al pari di quelle disponibili per molto malattie ‘’fisiche’’. Anche perché è proprio sulle cause fisiche della depressione che si concentrano le terapie farmacologiche, ad iniziare dai farmaci più usati, cioè gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (o Ssri). Medicinali che aumentano la disponibilità di questo neurotrasmettitore (fondamentale per la regolazione dell’umore) all’interno delle sinapsi cerebrali, garantendo in molti casi un netto miglioramento dei sintomi depressivi. “Oggi abbiamo a disposizione diversi gruppi di farmaci efficaci e ben tollerati, che a fianco della psicoterapia, quando ritenuta utile e necessaria, offrono ottimi risultati per il trattamento della depressione”, assicura Andra Fagiolini, professore di psichiatria dell’ Università di Siena e direttore del dipartimento di salute mentale e degli organi di senso dell’Azienda ospedaliera universitaria senese : “Sono tutte molecole molto efficaci, ma che devono essere tarate con cura sul paziente perché mostrano effetti molto variabili a livello individuale”.
Co la giusta terapia, comunque, chi soffre di depressione oggi può avere una qualità di vita paragonabile a quella di una persona sana. Molte persone migliorano rapidamente e guariscono dagli episodi depressivi entro un mese o due. Ma resta il problema di quel 30-40% di malati che non rispondono affatto ai farmaci disponibili. Una categoria al alto rischio, verso cui sono indirizzati attualmente gli sforzi della ricerca. “Di recente – spiega Fagiolini – abbiamo avuto a disposizione un nuovo farmaco che agisce sul sistema glutammatergico (il glutammato è un neurotrasmettitore, ndr) e che si sta rivelando efficace circa nel 70% dei pazienti. Nei prossimi anni si spera che arrivino anche altre molecole indirizzate verso nuovi target terapeutici, come il sistema gabaergico o il sistema endocrino, e prima o poi anche biomarcatori con cui valutare in modo oggettivo la diagnosi, la prognosi e il decorso della malattia e attraverso i quali scegliere le terapie più efficaci per ogni paziente”. Quel che è certo è che la depressione è una malattia a tutti gli effetti, e come tale va trattata, senza drammi eccessivi, ma anche stando attenti a non sminuire il problema. “La cosa più importate, per una persona che mostra sintomi depressivi è ricevere il prima possibile una valutazione medica – conclude Fagiolini – perché oggi la depressione è una malattia curabile e non bisogna avere paura di psichiatrizzare il problema, non più di quanto si tema di “cardiologgizzare’’ un disturbo del cuore rivolgendosi al cardiologo”.
Articolo di Simone Valesini
Fonte: Salute – Corriere della sera