L’assistenza domiciliare integrata (A.D.I) è da rinforzare

I dati della pandemia sono chiarissimi: l’età media dei deceduti è 81 anni, più maschi che femmine di questi oltre il 60% aveva tre o più patologie associate e circa la metà era ospite de una Residenza Sanitaria Assistenziale (Rsa).

Oltre a far conoscere agli italiani le Rsa, di cui molti ignoravano l’esistenza, il virus ha svelato il tallone di Achille del nostro sistema sanitario e assistenziale.

È la caratteristica della pandemia: implacabilmente colpisce le debolezze intrinseche di un sistema, che in Italia sono i vecchi i fragili, così come in altri Paesi soprattutto Stati Uniti e Brasile sono i poveri e le etnie meno protette.

E chiarisce definitivamente un concetto: l’ospedale non è il posto dove curare “tutto” e “tutti”; certamente non la pandemia (una malattia che colpisce molti) e nemmeno le fragilità (gli anziani multimorbidi) che hanno travolto le tradizionali organizzazioni ospedaliere e anche le meno tradizionali come quelle per intensità di cura.

La potenza delle pandemie e delle fragilità richiede un altro assetto “difensivo” che avrebbe addirittura la possibilità di diventare “offensivo”, qualora riuscisse a impedire la sconfitta ospedaliera e assolvere il compito di una gestione corretta (e sostenibile) di entrambe.

Mi riferisco all’assistenza domiciliare integrata (Adi)e, più in generale, alle cure territoriali. Due concetti di cui si parla già da tempo. Oggi l’Adi interessa solo il 2,7 per cento degli over 65 del nostro Paese e dedica circa 20 ore l’anno per assistito. Questi numeri dovrebbero essere l’8-10 per cento, con 20 ore al mese per assistito, è questa la prima novità.

La seconda è che fare una buona assistenza domiciliare integrata è come fare buona neurochirurgia, nel senso che abbiamo a disposizione competenze, tecnologie e software che rendono l’Adi capace di fronteggiare qualsiasi tipo di emergenza con un impatto sulle fragilità, pandemia inclusa.

Esempio banale, ma concreto: nel 2003 l’ondata di calore ha fatto gli stessi danni, sia pur numericamente inferiori, del Coronavirus. Ha mietuto vittime tra gli anziani e i pazienti cronici (diabetici, cardiopatici), insomma gli stessi soggetti colpiti con più forza da Covid!

È ora il momento di investire sull’assistenza domiciliare, ma per farlo è necessaria una presa di coscienza di competenze, cultura e know-how. Sulla base di questa premessa, mettiamo insieme quel che di virtuoso già c’è: raccogliamo e studiamo le migliori pratiche nel Paese-pubbliche, private o miste che siano e valorizziamo il necessario contributo della tecno assistenza.

Esistono device che misurano quasi tutto dai parametri vitali di un paziente, con alert che consentono di indirizzare cure immediate, massimizzando il costo-beneficio delle risorse.  

Chiuderei dentro una stanza tutte le Regioni per analizzare i loro modelli di Adi, aggiungerei il know-how più recente e i software più adeguati per sapere esattamente chi si assiste e quanto, e su quali basi sono costruiti i piani di assistenza per il singolo paziente.

Ne uscirei con i due esempi concreti più spendibili e meglio valutati per diffonderli al resto del Paese. E da qui cominciare.

Articolo di Roberto Bernabei

(Presidente di Italia Longeva)

Su Corriere Salute del 02.07.2020