
Evolve la strategia contro l’Alzheimer
Ora l’attenzione è rivolta soprattutto alle sinapsi, i punti di collegamento fra le cellule nervose.
E l’obiettivo non è tanto quello di “curare” in senso stretto la malattia, quanto di stabilizzarla, come del resto si fa con molte altre patologie, fra cui diversi tipi di tumore.
A che punto è la ricerca sull’Alzheimer?
Ci sono case farmaceutiche che hanno i remi in barca. La beta-amiloide, la proteine che si accumula intorno alle cellule nervose, non sembra più il grande (né l’unico) nemico da battere. Eppure “La ricerca sta andando tantissimo. Ci sono moltissimi laboratori in Italia e nel mondo che ancora si dedicano allo studio dei meccanismi che possono portare alla malattia”, dice Monica Di Luca, docente di farmacologia all’Università degli Studi di Milano, che guida l’European Brain Council ed è vice presidente di AirAlzh, l’unica onlus italiana che sostiene la ricerca sull’Alzheimer. “Finalmente siamo riusciti a inquadrare le fasi della malattia su cui dobbiamo concentrarci di più, per avere successo anche nell’identificazione di nuove terapie”.
Che cosa sappiamo?
“Abbiamo imparato i meccanismi alla base della malattia. Per avere successo, dobbiamo focalizzarci su quella che i clinici raccontano come la fase iniziale. C’è un bellissimo studio americano che s’intitola “Cambiare la traiettoria”: dice che se riusciamo a fermare anche solo di cinque anni la progressione dell’Alzheimer, riduciamo siamo il numero dei pazienti sia i costi della malattia del 50 per cento”.
Che cosa significa “cambiare traiettoria”?
“Che per ora dobbiamo toglierci dalla testa di ”curare” la malattia. Noi non curiamo il cancro, lo stabilizziamo. La stessa cosa vale per la demenza. Dobbiamo conviverci, ma stando bene. Tenendola sotto controllo. E se lavoriamo nelle fasi più precoci, ce la si può far”.
Su che cosa si focalizza la ricerca?
Le sinapsi sono il punto cruciale. E in Italia abbiamo dimostrato che quanto avviene nelle fasi iniziali è proprio un’alterazione dei contratti tra le cellule nervose, le sinapsi: e questo avviene molto prima che la cellula nervosa muoia. Quindi non parliamo più di neurodegenerazione o di morte del neurone, ma di una disfunzionalità. E’ la comunicazione tra neuroni che non va più tanto bene, proprio nei circuiti predisposti alle funzioni colpite agli esordi della demenza: orientamento spaziale, apprendimento, i primi problemi di memoria. La ricerca si sta concentrando su questi aspetti: abbiamo scoperto tanti meccanismi che sono alterati in quel contesto e in quel momento della malattia. Grandi studi, tanti bersagli farmacologici nuovi e un nuovo modo di vedere la malattia.
E la famosa beta-amiloide?
“C’entra, ma se la si vede in un contesto nuovo, si riesce a colpirla in un modo diverso. E il contesto nuovo sono proprio questi contatti tra le cellule nervose dove l’amiloide inizialmente si forma ed è ancora poca. Se la blocchi lì, puoi avere successo. Utilizzando non più l’amiloide come target, ma strutture interne alla cellula che mantengono le sinapsi nella loro struttura più adeguata a comunicare con gli altri neuroni. E colpiamo queste proteine creando farmaci che sono come proiettili che agiscono dall’interno della cellula e sono più efficaci. E’ questa la strada”.
Da dove attinge il suo entusiasmo?
“Dal dovere morale che abbiamo nei confronti delle persone con demenza. Oggi c’è una collaborazione più diretta tra aziende e centri di ricerca di base, tra pubblico e privato”. In tale scenario, “Airalzh sostiene tantissimo la ricerca in Italia e questo per noi è fondamentale”.
La dottoressa Alessandra Mocali, ricercatrice dell’Università di Firenze che presiede l’onlus nata tre anni fa “grazie al sostegno di Coop”, racconta con orgoglio di quei 25 giovani ricercatori che portano avanti progetti di ricerca in centri e istituti di tutta l’Italia.
Un movimento controcorrente rispetto alla nota “fuga dei cervelli”. Silvia Pelucchi è una di quelli rimasti, per merito di AirAlzh: 32 anni, lavora a Milano sotto la direzione di Monica Di Luca, concentrandosi su un enzima, denominato Adam 10, che potrebbe costituire uno scudo contro l’avanzata dell’Alzheimer. “Alzarsi ogni mattina e lavorare per trovare risposte a un problema così gravoso è una responsabilità grande e un grande motivo di orgoglio”, dice la dottoressa Pelucchi. Anche quest’anno lei e altri giovani ricercatori si ritroveranno all’Alzheimer Fest (Treviso, 13-15 settembre), dove AirAlzh farà il punto dopo tre anni di entusiasmante lavoro. Continuare è importante. Per contribuire anche a “cambiare la traiettoria” e bloccare bloccare (se non curare) l’Alzheimer, per diversi anni, all’inizio della sua “invasione”